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Que vivan los estudiantes


“¡Que vivan los estudiantes, jardín de las alegrías,

son aves que no se asustan de animal ni policía!…”

(Violeta Parra, canción homónima)


“ … Arriverà qualcun altro per rivelarci  che il numero di protoni dell’universo è finito, precisamente 10 all’ottantunesima potenza, che ci sono cento milioni  di stelle  cento  milioni  di volte più grandi del sole, e che  l’infinito  è  un semplice prodotto della fantasia, che ha permesso fra l’altro la  costruzione rigorosamente logica di tali numeri astronomici.

Imparare appartiene al sacro. E, a volte, anche insegnare. Nonostante le interruzioni del vicino di sotto.

… Llegarán otros para informarnos que el número de protones en el universo es finito, precisamente 10 a la 81ª potencia,  que hay cien millones de estrellas cien millones de veces  más  grandes que  el sol, y que el infinito es un simple producto de la fantasía,  que permitió entre  otras cosas la construcción rigurosamente lógica  de  tales números astronómicos.

Aprender pertenece a lo sagrado. Y, ciertas veces, también enseñar. No obstante las interrupciones del vecino de abajo.”

(Meri Lao, Il vicino di sotto/El vecino de abajo, Sofismi/Sofismas)


ALLIEVI DI PIANOFORTE

Pietro Lussu

Foto e dati acquisiti da Internet: “Nato a Roma nel 1971, inizia gli studi jazzistici all’età di 16 anni con il pianista romano Massimo Rustico. Successivamente frequenta per un anno la Jazz University di Terni studiando con Mike Melillo e seguendo i seminari di Maurizio Giammarco, Paolo Fresu e Bruno Tommaso. Segue poi i seminari di Siena Jazz studiando con Franco D’Andrea ed Enrico Rava.”

E prima ancora con chi hai studiato? Chi ti ha messo per la prima volta le mani sulla tastiera e ti ha insegnato a leggere (subito) con le due chiavi?  Con chi hai imparato a suonare a quattro mani e a seguire il tempo cronologico e il tempo psicologico degli altri? Chi ti ha passato qualche “segreto” della tecnica pianistica appreso da Eliane Richepin, che a sua volta le era stato svelato da Marguerite Long? Per esempio  il tema della Rapsodia VI di Liszt fatto con ottave, le due mani,  elasticizzando il polso, a semitoni per tutte le tonalità. Chi??  Perché non lo dici? Maschilista!

E sì che ci siamo tanto amati (e ci amiamo ancora). Tanto quanto ho amato  i tuoi, Giovanni e Paola, e i tuoi nonni, Emilio e Joyce, i primi che hanno voluto sentirci dopo l’esperienza cubana di tre anni, era tutto un ricostruirsi reciproco di idee. E sì che mia madre si è sentita male nell’altra camera quando ti stavo facendo lezione, e andavo da lei e tornavo da te perché neanche tu mollavi… E la settimana seguente, quando sei tornato, mamma non c’era più. Come vedi, sei rimasto legato a eventi importanti della mia vita.


Pietro Caputo

A me tornano in mente gli odori di casa tua (erbe, tisane, dulce de leche?), poi Jacou che si spenna e che fa il cucchiaino, e le tue mani forti, eleganti e leggere sul pianoforte. Faccio ricerca in matematica: teoria delle probabilità e fisica-matematica. Ora (anno 2012) sono professore di matematica a Roma Tre. Sono sposato e ho due figlie di 7 e 10 anni.

Allievo di piano, amichetto dell’altro Pietro (Lussu, quello che è diventato un pianistone, e non mi nomina).  Già da bambino, sguardo di chi non conosce la noia, di uno che sempre sta a mettere a posto i dati del mondo sensibile. Grande immagazzinatore ed elaboratore. Squadrato nei tempi musicali, indefesso. Forse la musica gli è servita solo a indicargli la strada della matematica. Certo che Jacou, il mio celebre pappagallo, che riconosceva i miei allievi e li salutava parodiandomi (“Un dué tre quatt Sol”), è stato l’attrattiva principale delle mie lezioni.

www.mat.uniroma3.it/users/caputo


Valentina Carnelutti    

Meri, oggi posso dire la mia gratitudine per aver trascorso da te pomeriggi caldi di affetto e profumo di tuberosa, dulce de leche (che portavo anche a casa divorandolo a cucchiaiate!), lunghi dialoghi con Jacou, crema al midollo per la mamma e libri da catalogare, schede, ordine… Il nostro primo incontro in via del Mattonato, doremifasolmi solmi solmi doremifasolmi solfamiredooo, poi il trasloco a Monteverde con la tua mamma di là, la torta al cioccolato e le piante che aumentavano la certezza che, se anche non avessi studiato a casa, avremmo potuto trascorrere l’ora della lezione imparando qualcosa della vita, chiacchierando, suonando a quattro mani o chiedendoti di mostrarmi i tuoi ultimi acquisti a Porta Portese…  E  se proprio non mi andava ti chiamavo e non venivo, senza colpa: era l’adolescenza a richiamarci altrove… Il tuo occhio disegnato sugli spartiti ora lo disegno sui copioni, ancora più stilizzato. Quanto al pianoforte… era solo una delle tante cose. Ti bacio forte.

Valentina, bimba maestosa, principessina della scena, tanto nei musical della tua Overseas School, come nelle case dove sei venuta a prendere lezioni di pianoforte. Persino il celebre pappagallo di casa era un adepto delle tue sane rappresentazioni: quando entravi imitando la maniera di camminare di un allievo, di mia madre, di Cecilia la mulatta, Jacou non  rispondeva a te, ma al personaggio che incarnavi. Era cosa da standing ovation. Tutti ti amavamo, anche chi ti guardava con una punta di invidia o di gelosia. Io con te ho imparato a trattenermi dal compiere atti di favoritismo. Una catarsi anche quella, a parte le risate.


Riccardo Cattani

Riccardo Cattani, classe 1952, una passione da sempre per la fotografia e poi una vita spesa nella produzione cine-tv e nel multimediale avanzato fino alla tv digitale. Il primo incontro con Meri è stato nel 1981: all’epoca mi occupavo di fotografia e lei voleva realizzare una multivisione sul Tango come scenografie per una serie di suoi concerti, e così ci siamo conosciuti. L’esperienza fu interessante e coinvolgente perché, attraverso le immagini e la sua musica, mi fece conoscere un mondo, quello del Tango, a me totalmente estraneo. Poi ci siamo persi di vista fino al 1991, quando pensai di poter ricominciare a suonare il piano, e devo dire che la pazienza di Meri con uno studente già grande, e un po’ svogliato, è stata tanta. Ma era solo una scusa, perché passare un’ora con Meri era veramente piacevole, ascoltando i suoi racconti, le sue esperienze. Da allora, anche se ci si sente e ci si vede di rado, è sempre nei miei pensieri ed i suoi insegnamenti sono parte integrante della mia esperienza di comunicazione e di web, sempre alla ricerca di mondi impossibili.

Grazie a Riccardo il mio spettacolo Tanghitudine si è arricchito della parte visiva, sia con le foto che gli fornivo io,  dell’archivio di famiglia, sia con le immagini che andava in giro a cercare, seguendo i miei desideri. Insuperabili i cardi di “Caminito” e la camera della signorina benestante, da piccolo mondo antico, che doveva illustrare il tango “Nunca tuvo novio”. E non solo mi ha regalato questo suo prezioso lavoro, ma anche l’unità manuale di dissolvenza per proiettare le diapositive. Per contraccambiare, con le poche lezioni intese a rinfrescare le sue abilità pianistiche, avrei dovuto come minimo farlo diventare un Vladimir Ashkenazy!


Alfredo Muschietti

A dire di Beatrice, sua moglie, Alfredo è venuto a lezione da me durante dieci anni. Elasticamente, compatibilmente con gli accadimenti del quotidiano e col nostro lavoro: erano gli anni più fruttiferi per entrambi. Alfredo era un argentino sui generis, montatore cinematografico assai conosciuto, cosmopolita, quattro lingue, gran gusto per la buona musica. Voleva imparare a seguire un brano con la partitura, a suonare il piano, a comporre. Non aveva fretta. Ovviamente, niente studi progressivi per bambini né compiti da conservatorio. Lui stesso proponeva i brani, e non si annoiava mai di ripeterli finché non gli riuscivano correttamente. Ambizioso e testardo, è partito con la sonata in Do maggiore K 545 di Mozart ed è arrivato all’Allegro maestoso del Concerto n. 1 per piano e orchestra di Chopin: su queste opere imparava a eseguire le scale, i trilli, gli arpeggi, le ottave, i passaggi virtuosistici, e a curare il dinamismo e il fraseggio. Per il pubblico (di amici, alle feste di casa) aveva sempre pronte alcune sonate di Schubert da suonare a quattro mani con me. Alfredo era di poche parole nei riguardi del privato, tranne quella volta che, esultante dalla gioia, mi raccontò del suo lavoro al film TV “Tosca” con Raina Kabaivanska e Plácido Domingo (regia Gianfranco De Bosio), e del salto di qualità che aveva fatto grazie allo studio della musica. Per converso, Alfredo era presente quando Fellini mi telefonò per chiedermi di scrivere (subito, seduta stante) la canzone per il film “La città delle donne”, e rimase affascinato dal mio esaltato travaglio finché non ho trovato l’incipit. Dopo che aveva appreso i rudimenti di armonia e composizione, sono stata io a spingerlo, con ripetuti simulacri di esami, a iscriversi come musicista alla SIAE. Una sorta di diploma. Sono contenta di avergli passato un mestiere che ha completato e raffinato le sue valide competenze.


Manuel Torrisi 

Ho preparato Manuel Torrisi per entrare al conservatorio nel corso di contrabbasso. Avrà avuto nove-dieci anni, gli ho insegnato a leggere la musica, a fare pratica di solfeggio, di dettato, e soprattutto a concentrarsi per far rendere lo studio. Era un bimbo dolcissimo, ciuffo biondo sulla fronte, occhi neri. Un giorno stavamo facendo solfeggio cantato, e lui a ogni sbaglio si interrompeva e ripeteva il passaggio tante volte da far perdere il filo del discorso, la melodia. Lo esortai a eseguire tutto più lentamente, ma a non fermarsi sino alla fine.  “E se sbaglio?”  Se sbagli fai finta di niente, e vai avanti, come fanno i concertisti. Non dimenticherò mai la purezza infinita del suo sguardo quando mi disse: “Ma non è leale”. Manuel non accettava la finzione teatrale. L’attrice Pilar Castel, nel libro  “Manuel, contrabbasso veliero” racconta, “con artigli d’acqua che cercano di afferrare un corpo di nuvole”, quale massacro psichico ed emotivo comporti avere un figlio in preda all’eroina. Alla fine del libro, come allegato, il verbale di riconoscimento della salma di Torrisi Manuel, nato a Roma il 26 ottobre 1970 e trovato senza vita il 22 marzo del 2002.


ALLIEVI DI MUSICA  
(LICEI) Facebook, L.U.S. (Liceo Unitario Sperimentale della Bufalotta)

Si fa lezione di musica nell’oliveto…

Benedetta Loy, Antonio Mastrojanni, Meri Lao, Bruna Pollio, Mariella La Rosa,  2011


Antonio Mastrojanni

Allievo del Liceo della Bufalotta. Dice (parole sue) di avere talento senza arte, intelligenza smetodata, smodulata, accidica, e di amare l’ignoto per  auto conservazione inconsapevole, di essere noioso disilluso e ironico precursore (boh! sempre parole sue), e si scusa di non amare la socialità internauta. Però mi manda baci enormi.

Timidezza? Ha commesso con me la gaffe del secolo, che non riferisco per rispetto verso di lui adolescente e perché è legata a un mio “segreto” sul quale altri mormorano, tranne me. È stato il “maschio” nel nostro spettacolo Mica sarai femminista, chioma fulva leonina, denti esibiti, rientri in morbidezza. L’ho visto anche, nel teatro Centrale di Roma, interpretare Emone nell’Antigone di Anouilh, con Lorenza Ralli, altra mia indimenticabile allieva dello Sperimentale; mi restò nel ricordo come cosa così autentica da credere per anni che fosse stato recitato in francese. Per lui invece fu catastrofico, gli diede la certezza che tutto avrebbe potuto fare nella vita, meno l’attore. Ci siamo incontrati spesso, nel quartiere, lui sempre più bello, sposato a una spagnola, 2 figli davvero deliziosi, portando a spasso educatissimi cani.


Lina Fiorilla

Il leitmotiv della mia vita sono state le canzoni di Meri. L’ho conosciuta nel 1975, al Liceo Sperimentale. All’epoca ero timidissima, ma entrai nel suo coro di canzoni popolari latinoamericane insieme a Pina, un’amica e compagna di classe dalla voce straordinaria.

Quelle canzoni e la passione per la cultura latina sono rimaste immutate negli anni, sono diventate parte del mio percorso. La mia voce si è un po’ modificata con l’età, ma ricordo ancora tante strofe di canzoni  e ritornelli che continuo a canticchiare: mio figlio si addormentava con Duerme, duerme negrito; mi davo la carica con canzoni di lotta nei momenti di panico; o mi struggevo in nenie piene di nostalgia. Se è vero che ognuno di noi è un mosaico delle esperienze, che le persone con cui veniamo a contatto ci lasciano un tassello, allora  credo che Meri abbia lasciato in molti di noi, suoi allievi, un grande amore per la musica in generale e per la cultura latinoamericana.

Ti ricordo concentrata e felice quando cantavi. Dopo quasi 30 anni, quando ci siamo riviste al Melbook di Via Nazionale (alla presentazione di Donna canzonata con Gianni Borgna), ho capito che avresti fatto una conversione a U. Io allora ero ancora alta (in poco più di un anno mi sono accorciata di 7 cm) e, tra Benedetta e Angela, che erano particolarmente eleganti e spigliate, facevo una certa figura. Tu ci hai guardate (pancia, fianchi, e su negli occhi) e ci hai detto: “Siete uguali, non siete cambiate in nulla, ma che avete fatto?”. C’era un misto di affetto, nostalgia, voglia di rifare la strada, di frequentare il Liceo ora, come allora. Ho pensato: adesso Lina si lancia in qualcosa di nuovo. Era Face Book. Una delle prime immagini che hai passato è quella del riccio appena nato, che si apre sostenuto da una mano. Tu, Lina, in questo spazio virtuale sei entrata come insostituibile, irresistibile, impagabile animatrice del L.U.S.!


Alessandra Baduel

Come allieva di Meri al Liceo Unitario Sperimentale fra il 1972 e il 1977, ho trovato in lei la prima persona che ha avuto la forza di farmi cantare e anche benino: fin da bambina ero stata considerata una stonata senza speranze … Meri aprì un capitolo musicale anche nella militanza femminista di alcune di noi, con un corso molto divertente che ci fece pensare in modo diverso al nostro corpo di ragazze, fuori dagli schemi, inclusi quelli del femminismo medesimo. E questa per me è la chiave del ricordo di Meri: sanamente testarda, ironica, dissacrante – sempre ottimista.

Quella volta che misi un cartello nella bacheca del Liceo per formare il coro “Rosso un fior”, specificando che si accettavano anche gli stonati, si sono iscritti in 84: mai immaginato un tale successo. Gli stonati non esistono, è solo mancanza di pratica o primi tentativi mancati. Ricordo la tua voce corposa, Alessandra, come puntavi il naso cantando nel coro, come eri felice di esprimerti e come ammaestravi la tua erre moscia. E poi, ti devo la scoperta dei “freaks” sui quali preparavi la tesi di laurea: io mi sono lanciata a pesce sull’argomento (parte consistente delle mie ricerche sulle Sirene), e tu hai deviato sugli Angeli e sulla miriade di tematiche che affronti, da brava giornalista che sei diventata.

a.baduel@repubblica.it


Barbara Totta  

Che regalo  per me assorbire quei racconti, aneddoti e consigli che rappresentavano l’essenza e la particolarità del tuo insegnamento al Liceo Sperimentale. Ti ricordo come una persona soprattutto amica che, con la sua sensibilità e cultura, mi ha fatto scoprire il mondo incantato e affascinante della musica lirica. Sentire la musica e seguire i libretti d’opera con te era come vedere un film sorprendente. Sapessi quante volte ho sperato che ai miei figli capitassero insegnanti che sapessero trasmettere il loro entusiasmo come riuscivi a fare tu con noi, con tanta naturalezza!

Ho avuto circa cinquemila allievi, ma li ho guardati, ascoltati, e ne coltivo la memoria. Una delle mie massime soddisfazioni è essere fermata per strada da qualcuno di loro o ricevere una lettera come queste in cui mi dicono che qualche granellino alle loro vite  l’ho apportato.


Pasquale Mallozzi 

Da bravo borgataro non mi piaceva il teatro. E neanche la musica. Frequentavo il Liceo Sperimentale con lo spirito a metà tra Indiana Jones e Umberto D (forse non c’entra per nulla ma mi piace la citazione). Guardavo con occhio spesso assonnato (impiegavo un paio d’ore per arrivare a scuola) quei tableaux vivants (questa la so, e mi sembra più azzeccata) che i miei compagni nelle diverse sedi inscenavano. Era una rappresentazione continua e mi sembrava normale che “loro” si appassionassero così tanto al teatro, alle sonate, a tutta una serie di cose pallosissime. Ero però affascinato da due donne straordinarie: Meri e Vilda. Io pensavo di dover fare il bancario o l’impiegato di concetto e studiavo per questo e non immaginavo che si potessero fare lavori gratificanti, appassionati, divertenti. Pensavo che insegnare fosse solo un mestiere. Come altri. Come tanti. Non contemplavo la passione, il sorriso. E neanche l’incazzatura. Non ne valeva la pena. E invece queste due donne così diverse e così uguali volavano sulle nostre teste indicandoci un percorso gioioso. Due pifferaie. Soprattutto Meri. Vilda aveva ‘sto vocione roco che riusciva a crearti qualche imbarazzo. Meri no. Era latina dentro, naturalmente flautata. Una vera sirena. Mi lasciai trascinare. Col cavolo però che salii sul palcoscenico. Mi misi a fare il “tecnico delle luci” un sano lavoro proletario e maschio. Armeggiando casualmente con un mare di bottoni incomprensibili tirai fuori un paio di effetti da far accapponare la pelle. Se fossero stati “voluti” avrei potuto contare su una luminosa carriera. Invece… Invece a farmi crollare ogni illusione fu la conoscenza in quel buissimo Teatro in Trastevere di un altro personaggio mitologico, Zor, Zot, boh non ricordo il nome e non so neanche se sia veramente esistito. Alto un paio di metri, capelli corvini altezza chiappa, barba da infratto, occhi luciferini, canotta d’ordinanza, il vero tecnico delle luci del teatro. M’aveva preso a benvolere e mi dava fondamentali consigli in una lingua assolutamente ignota. Dicevo sempre sì fino a quando cercò di convincermi a salire con lui, piroettando, sulle volte dell’inTrastevere per piazzare qualche maledettissimo proiettore. “Ma che sei scemo?” Finì lì la mia esperienza teatrale, anche perché la compagnia si buttò sul brechtiano spinto e di luci e scenografie non se ne parlò più. Molti anni dopo mi è ricapitato tra le mani il libro di Meri sulle sirene, non so neanche per quale motivo. So solo che ho avuto la stessa emozione di Kane con Rosabella. Una sensazione bellissima, un groppo: mi è rivenuto in mente Zot, o come diavolo si chiamava, i canti, degli altri, i vecchi compagni e quelle due straordinarie sirene… Che bella cosa lo Sperimentale, che bella Meri.

Bello che tu sia giornalista, Pasquale. Bello che insegni Sistemi e tecnologie per l’informazione online alla Sapienza di Roma. Bello che tu abbia promosso l“idea collettiva di mettere in fila (non in colonna, dici bene) ricordi e testimonianza dei nostri giorni di “archeologi della didattica amorosa”. Belli questi miei lacrimoni di gioia a leggerti.


Gelosia fra allievi

Antinori-Peggio-8Sì, un mio ex allievo, perché gli ho preferito un altro, ha tempestato le bacheche di FB di fotomontaggi in cui esprime smodatamente la sua gelosia. Mi limiterò a riferire i fatti.

Il 9 dicembre 2011 mi trovavo all’EUR alla fiera Più libri più liberi, per tenere una conferenza su “Le donne nella musica latinoamericana”: otto autrici, una più brava dell’altra, con illustrazioni in Dvd.  Come compenso, non era previsto alcun compenso. In compenso era previsto che la conferenza durasse 45 minuti. Dopo appena 10 minuti ricevo un cartellino dell’organizzazione: “Il tempo è finito”. Mi alzo, dico al microfono “Tolgo il disturbo”ed esco, su tutte le furie. Parecchi del pubblico mi seguono. Uno di questi, alto, esuberante, barba così folta da sembrare finta e ottocentesca, un misto di Carlo Marx e Victor Hugo, mi ferma facendosi riconoscere: “Sono Maurizio Peggio, un tuo allievo dello Sperimentale della Bufalotta”.  Erano passati 40 anni. “Sí che ti  ricordo, avevi i capelli rasati; una volta, davanti al cinema Espero, mi hai detto…”   E quasi smaltivo la rabbia. “Vai domani sabato all’incontro con quelli dello Sperimentale? Andiamo insieme, ti passo a prendere con la macchina.” “In realtà ho già combinato di andare con Fabio Antinori”. Ma l’indomani, dato che Fabio aveva dovuto spostare l’orario, decido di andare con Maurizio. Il tragitto in macchina è lungo, chiacchieriamo come pazzi. Entriamo gasatissimi, insieme, felici di abbracciare gli altri. A quel punto Fabio si lasciò prendere dalla gelosia, rimuginando tutta la serata.  Avrebbe voluto abbattere il rivale (ma non si è mai visto che un peso piuma sconfigga un peso massimo) e impalmare me (nel  senso di riportarmi a casa come “palma della vittoria”). Non gli rimase che perseguitare Maurizio a colpi di creatività grafica. Con la scelta del Lao… coonte ammise pubblicamente di rinunciare a me. E la “vittima”, tanto corpulenta quanto spiritosa, s’inchinerà divertita di fronte al talento dell’ex compagno.


Isabella Brando

Avrei  tanto voluto fare l’attrice comica, recitare, ballare, adoro cantare e ho anche una voce niente male ereditata dalla mia mamma musicista ma, causa la mia grande timidezza, sono stata sempre dietro le quinte, defilata. Tu Meri hai creduto in me, mi hai fatto provare “l’ebbrezza del palcoscenico” facendomi partecipare ai cori durante il liceo, agli spettacoli sulle canzoni latino americane, e a quelli sui canti popolari e di lotta, canzoni che ancora – dopo quarant’anni – ricordo a memoria.
Mi hai sempre spronata, mi hai sempre detto che avevo dentro qualcosa di inespresso che avrebbe dovuto uscire.
Poi è uscito, ma sulla carta, disegnando illustrazioni e cartoni animati… Magari un giorno, da grande, riuscirò anche a esibirmi da sola, chissà?

Cara Isa, ogni volta che appare alla RAI-TV una sigla o un cartone animato originale e spiritoso, mi soffermo per vedere chi ne è l’autore: mi capita sempre la tua firma. Hai fatto una bella scelta espressiva, che è la tua professione e il tuo lavoro. Ti è uscito anche il basket, dove sei protagonista armoniosa e leggera. E i figli, che hanno preso da te la timidezza, quel mistero – di cui parlava la scuola di Barbiana – che “è solo mancanza di prepotenza”. (Vedi “Carta a una profesora”)


Alessandro Fabrizi  

Un giorno Meri ci parlò di voce di petto, voce di testa…  “Ci” vuol dire a noi della sezione A, sezione sperimentale del Liceo Virgilio di Roma. Ci fece sentire le vibrazioni nel corpo, mettendo una mano sulla nuca, sul cranio, sul petto. Tornai a casa (avevo 16 o 17 anni) e mi misi a cercare tutte le voci del corpo, nel corpo. E cercavo anche di convincere mio fratello più piccolo a fare lo stesso. Beh, adesso lo faccio di professione, insegno Voce. Anche perché anni dopo incontrai Kristin Linklater, che mi aiutò a sistematizzare quelle prime scoperte, che devo tutte a Meri. www.linklater.it

La sezione A era impegnativa e rischiosa. I ragazzi sono arrivati a farmi fare lezione all’impronta, su argomenti a piacer (loro), con domande-tranello, tanto per saggiare le mie conoscenze.  Alessandro mi accoglieva con passi di ballrom, così dovevo spiegare che il tango era tutt’altra cosa. Da bravi snob detestavano l’opera, ma è bastato un mio accenno al disperato addio di “Amami Alfredo”, per mettersi a testa china a imparare La Traviata, a cantarla fra loro, scambiandosi le parti. E io dovevo stare zitta e plaudire il loro estro. In classe non davano scampo. Fuori dal gruppo, invece, presi uno a uno, erano di una timidezza disarmante. Alessandro aveva una voce che sforava negli acuti e una esse bleso-sibilante; lo misi davanti a uno specchietto, col divieto alla lingua di fare capolino, e in poco tempo gli uscì un bellissimo vocione di diaframma con tanta varietà  di emissioni che era uno spasso vederlo nelle sue prime performance di attore. Nel 1985 lo portai alla Radio 3 a svolgere la parte dell’allievo nel programma Musicalmente parlando (dalla A alla Z), in cui io, l’insegnante, lo introducevo alle diverse tematiche della musica. Ero sicura che Alessandro sarebbe diventato regista, attore e insegnante. E anglista, anche grazie a Nadia Fusini, presenza significativa di quel nostro modo di fare scuola.


ALLIEVI DI YOGA

Andreana Spinola 

Ciao Meri, dopo due anni che frequento regolarmente la tua classe di yoga del giovedì mattina all’Igea, voglio dirti che sono felice. Sono felice di fare lo sforzo di dedicare del tempo per riuscire in quelle posizioni strampalate in cui tu, alla tua ragguardevole età, ti attorcigli spavalda. Mi piace la tua guida così leggera e precisa, le mani raccolte in preghiera che scoprono qual è il dito più ‘forte’ in modo da farlo cedere, il corpo che diventa più abile e più presente. Non sempre la penso così. È sorprendente notare la differenza tra l’inizio della lezione che spesso è svogliato e la fine, in cui è chiarissimo che il mio corpo mi è molto riconoscente per averlo portato a muoversi e avergli permesso di esserci al completo. E anche il mio umore ne esce pettinato.

Conosco Andreana da una trentina di anni. Al principio, come mamma di Olivia, una mia allieva di pianoforte. Più avanti, all’Ospedale Nuovo Regina Margherita di Trastevere, quando ho seguito i suoi trattamenti di Shiatsu, da cui ho ottenuto grandi benefici, compreso quello di riprendere la mia vecchia pratica quotidiana di Yoga. Ora frequento quel bellissimo spazio da lei fondato, pieno di luce, benessere, piante, oggetti eloquenti, giustamente battezzato col nome di Igea, figura della mitologia greca, figlia di Esculapio il medico, sorella di Panacea la ricercatrice della cura con le piante, dea della salute, del risanamento, di ogni cosa pulita. Andreana conosce tutti i termini dell’anatomia umana, si mette addosso uno scheletro di colonna come se fosse uno zaino per farti capire la potenza della struttura, le lanci uno stimolo e lei lo elabora, ha sempre un quesito, un’osservazione originale, un corollario su cui ragionare. Chiamale Spa, Wellness, Resort, Otium, che a dire 5 Stelle è dire poco, essendo una ricchezza personale che ci si scambia, mettendola in gioco e in luce.


Gunnar Adler-Karlsson 

Meri, I very much liked to hear from you!  Your help with my yoga is still very important for me. I never forget the headstand posture with no arms. Am doing a bit of it least once a week. Your message came just as I was working with the yearly meeting of the Fondazione per il Parco Filosofico.  We have now two fondazioni and I have serious hope that the maintenance of this Park is financed for some 50 years to come. Long after Marianne and me started it!

L’amicizia con Gunnar, economista svedese di fama internazionale, è iniziata durante le sedute di Yoga nella palestra di via Santa Dorotea, oggi cinema InTrastevere. Si era nei fecondi anni Settanta. Nel 2008, a Capri, quando ho ricevuto il premio letterario l’Enigma (2008), è venuto, insieme a sua moglie Marianna,  a salutarmi. Non sto a descrivere la delizia del ritrovarci, l’effusione. Loro hanno fondato a Capri un originale Parco Filosofico, con lo scopo di riservare nella macchia mediterranea un’area di meditazione. Cliccate qui, per conoscere una sua Meditazione, tautologica da quanto è semplice, ma insolita se la paragoniamo a ciò che si suole leggere oggi.