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Intervista “ONNICOMPRENSIVA”
di Daiana Paoli

 

 

FEBBRAIO 2007

Volver, il verbo del tango. La nostalgia per le persone che non ci sono più, per la giovinezza che ormai è lontana… Si vorrebbe tornare indietro, ma lo si può fare solo con la memoria, aggrappandosi ai ricordi. Volver al passato, volver a casa, volver indietro… Tornare, dunque. Y ella vuelve. Meri Lao torna alle sue origini, in questa intervista che mi concede nello studio della sua casa romana a Monteverde. Definirla un’artista a tutto tondo forse non basta. Lei, che come ha detto Umberto Eco, “ha dedicato una vita al tango ed è certamente chi ha sempre raccontato meglio questa magnifica vicenda”, ritorna con la memoria alla sua infanzia, trascorsa fra Uruguay e Argentina. All’inizio furono i suoi genitori, emigrati in Sudamerica quando Meri aveva solo due anni, a indirizzarla allo studio del pianoforte. Aveva quattro anni, la piccola, quando a casa sua era ospite una soprano, che all’indomani doveva fare un’audizione importante. Stava provando un brano della “Madame Butterfly”, a cappella. Ma sbagliava un acuto. La bambina la corresse subito, e cantò il sol bemolle. Nello stupore di tutti.

“L’avevo sentito qualche volta, in un disco. E mi era rimasta stampato nella mente. Si scoprì poi che avevo l’orecchio assoluto. Sembra che sia congenito”.

Gli anni passano rapidissimi, mentre la giovane Meri, impegnata negli studi del liceo, nei primi concerti pianistici, trova anche il tempo di coltivare il tango.

“Una forma che mi rappresenta, nata attorno il 1880 su entrambe le sponde del Rio de la Plata, a Buenos Aires e a Montevideo, dove ho vissuto gli anni formativi. Se fossi cresciuta a New Orleans o a Los Angeles mi sarei occupata di jazz”.

A 25 anni decide di dare una svolta alla sua vita. Vende il pianoforte e parte. Destinazione: Parigi. Torna così per la prima volta in Europa e inizia subito a respirare quel clima di grande fermento musicale che caratterizza in quegli anni la capitale francese. Conosce Pierre Boulez e Pierre Schaeffer, entra nel vivo della cosiddetta “Musique Concrète” che sta nascendo nell’ambiente parigino .

“Frequentavo molto i teatri di Parigi. Le cene con gli artisti a fine spettacolo erano i luoghi ideali dove scambiare opinioni sulla cosiddetta “nuova musica”. Quella musica di cui poi scriverò anche nei manuali per la Nuova Italia del 1968, affrontando in tutte le sue sfaccettature quella che sarà l’avanguardia. Studiavo il piano con Eliane Richepin e, guarda caso, Tristan Richepin, suo ex marito, dopo molti anni sarebbe stato il mio impresario con programmi anticonformisti, lui nipote del famoso accademico Jean Richepin che nel 1913 aveva lanciato il tango rioplatense nelle vetuste sale della Sorbonne”.

Quando alla fine del ’54 Meri arriva a Roma, la capitale si sta lentamente riprendendo dal dramma della seconda guerra mondiale. Non è ancora esplosa la dolce vita. Ma Via Veneto di sera già inizia a riempirsi di luce e di persone in cerca di cose nuove.

“Cominciai a insegnare Storia della musica e del teatro nei licei sperimentali di Roma. Feci vari progetti innovativi, con i miei allievi della Bufalotta. Volevo trasmettere loro qualcosa che andasse oltre alle semplici lezioni di musica. Che sapessero leggere criticamente i testi, e come trasmetterli in maniera originale”.

Meri si ambienta perfettamente nella Capitale e conosce i più grandi compositori dell’epoca. Lo Studio di Fonologia Musicale di Milano sarà il fulcro attorno al quale in Italia si svilupperà l’avanguardia musicale: viene creato ufficialmente nel 1955 nella sede della Radio Audizioni Italiane (RAI). I fondatori sono Bruno Maderna e Luciano Berio come direttori artistici, insieme al fisico Alfredo Lietti e al tecnico Marino Zuccheri. La caratteristica di questo studio è quella di una apertura e di un interesse a tutte le varietà di elaborazione sonora. Per un buon periodo è uno degli studi più all’avanguardia in Europa: ha nove oscillatori, dei generatori di rumore, vari modulatori, un pannello di filtri, un Tempophon (un regolatore di tempo e frequenza che permetteva di variare la durata del tempo di registrazione mantenendo inalterata l’altezza).

“In quel periodo conobbi Luigi Nono e Bruno Maderna, insieme a amici del cinema come Kim (Franco Arcalli), Valerio Zurlini, Sergio Canevari. Aldo Clementi, che ho risentito recentemente dopo tanti anni, e mi ha riconosciuto subito la voce. Antonio De Blasio, Franco Evangelisti, tutti loro mi davano molto materiale, erano sempre gentili e disponibili. Erano molto fiduciosi di quello che stavano facendo come gruppo d’avanguardia. Io sono andata anche da Petrassi, avevo preparato le sue Invenzioni, nel momento in cui mi trovavo alla frontiera tra lasciare il piano e dedicarmi a seminari, convegni e insegnamento. Non c’è molto repertorio per pianoforte di musica contemporanea, purtroppo. Ricordo che Petrassi mi parlò molto bene delle opere di Ennio Morricone e aggiunse: “Peccato che si sia dedicato al cinema!”. Finalmente, però, quest’anno si sono accorti che meritava l’Oscar! Io ero sempre alla ricerca di materiale nuovo, ho parlato anche con la vedova di Luigi Russolo, ma degli intonarumori non era rimasta nessuna traccia. Anzi, sperava avessi io qualcosa da poterle dare del Maestro! Allora si faceva tutto sulla memoria, sul sentito dire, non come oggi. Era veramente difficile cercare materiale! In quel periodo di grande fermento dell’avanguardia italiana, fui invitata ad andare in una tournée ufficiale, organizzata dal ministero degli Esteri, e accettai con molto entusiasmo. Ho suonato il Concerto per Dimitri per piano e orchestra di Riccardo Malipiero, in varie capitali sudamericane. Andai anche a Tunisi, dove ho tenuto un seminario sulla musica elettronica e sulle avanguardie musicali italiane.

Nei primi anni Sessanta Meri tornava spesso in Sudamerica per delle tournée, era una vera e propria passionaria dell’avanguardia. Rinnovava sempre i suoi programmi con varietà e gusto, ma non lasciava da parte il tango.

“Mi piacevano e continuano a piacermi, i pianistoni – Liszt, Chopin, Schumann, Bartók – ma ho sempre messo nei programmi dei miei concerti brani di musica contemporanea, alcuni scritti per me. Non ho mai ritenuto che il tango fosse inferiore. Mescolavo il tango Malena con Rachmaninov perché mi veniva naturale, come se fossero memorie delle dita nella tastiera. La contaminazione, che va così di moda oggi, la facevo già da quel dì. In genere cominciavo i concerti con la musica contemporanea e poi finivo coi romantici. All’inizio il pubblico rimaneva un po’ stupito perché non era abituato a queste innovazioni. A distanza di anni, qua in Italia, ancora oggi trovo dei programmi che si ostinano a ripetere le stesse sonate, le stesse opere.”

Ma oltre a esibirsi e studiare, Meri Lao ha scritto anche molti libri. Il primo nel 1967, quando l’editore François Maspero le pubblica Basta. Canti di testimonianza e rivolta dell’America Latina, una raccolta di centinaia di canzoni con traduzione e trascrizione musicale su pentagramma.

Il titolo originale è Basta! Chants de témoignage et de révolte de l’Amérique Latine, che ha un record piuttosto particolare: è stato il libro più rubato nelle librerie francesi. Costava molto per le tasche ‘rivoluzionarie’… Il libro arrivò in bozze di stampa nelle mani di Fidel Castro, che mi inviò subito un telegramma, invitandomi a Cuba. Ci andai per un mese. Mi proposero di fermarmi per sempre. Ma, anche se non credo a certi avverbi di tempo, tornai per poco a Roma e da lì di nuovo un aereo per Cuba. Tre anni trascorsi in quella magnifica isola, vissuti intensamente, ho anche tagliato la canna da zucchero col machete, follie del lavoro volontario collettivo, all’Istituto della Radio Televisione avevo l’incarico di riorganizzare la musica cosiddetta per i giovani, e all’ICAIC insegnavo come applicare la musica nel cinema d’animazione, scelta, montaggio, anelli, strumenti fai da te”.

Ma Meri Lao, nei suoi numerosi saggi sulla musica, si è occupata anche dei trovatori latini, dalla celeberrima cilena Violeta Parra fino a Pablo Milanés e Silvio Rodríguez, e li ha fatti conoscere al grande pubblico.

“Violeta la conobbi in Francia nel 1965 e a Cuba poi ho rivisto i suoi due figli, dopo il suicidio di lei… A soli 47 anni si è tolta la vita, non ha retto il ritorno in Sudamerica, che negli anni della sua permanenza europea aveva cambiato totalmente volto. E poi il dolore per un amore finito le ha fatto premere il grilletto. Ho partecipato anche al documentario Viola Chilensis che ricorda la sua figura. Nel mio libro “Trovatori dell’America Latina” del 1975 parlo molto di lei, della sua musica e dei suoi testi, che ho raccolto e tradotto. Nel libro Trovatori dell’America Latina ho anche antologizzato Atahualpa Yupanqui, il capostipite, l’uruguayano Daniel Viglietti e il brasiliano Chico Buarque de Hollanda.

A Cuba venivano da me Pablo Milanés e Silvio Rodríguez, ragazzi di grande talento, sono stata anche loro insegnante all’ICAIC. Silvio, a soli vent’anni, aveva composto già migliaia di canzoni. Rilegava i testi con due viti a farfalla, in un blocco più alto che largo, e suvvia a cantarle con la chitarra, che grande fantasia musicale. Tutti questi “miei” trovatori hanno vinto poi in Italia il premio Tenco, tranne purtroppo Violeta, che non davano premi postumi.

Anche Meri ha vinto questo premio, per l’operatore culturale, nel 2001. Così recita la motivazione: “musicista, musicologa, scrittrice, ricercatrice che ha approfondito e divulgato in particolare temi legati alla didattica musicale e al ruolo della donna nella canzone, ma soprattutto, da vera sirena, ha attirato il pubblico italiano ed europeo nei segreti della grande canzone latinoamericana, diventandone studiosa tra i massimi del mondo”.

Sirena, l’hanno definita. Lei, conoscitrice del tango tra le massime al mondo, è anche una grande, grandissima esperta di sirene, di cui possiede una raccolta iconografica impressionante, che conta oltre 4000 raffigurazioni, per non parlare di musiche e di video. È questa una delle sue più grandi passioni, scaturite sul set, quando lavorò a fianco di Federico Fellini nel suo film Le città delle donne del 1980, per il quale Meri compose un tango congo, che funge da leit-motiv della prima parte della pellicola. Una donna senza uomo è, tradotto da lei stessa in sei lingue, che potrebbe porsi come un inno femminista allegro e ironico.

I suoi libri più celebri sono quelli sul tango. Il primo volume sul tema lo pubblicò a Milano e a Buenos Aires nel 1975. Titolo: Tempo di tango. Negli anni successivi, manderà in stampa anche Voglia di tango, T come tango e Todo tango… Su questo tema Meri Lao non si stanca mai di scrivere, né di parlare. Vorrebbe scalzare tutti i luoghi comuni (“ballo sensuale”, “nato nei bordelli malfamati”) che lo schiacciano e impediscono di capirne l’essenza, la vera storia, profondamente intrecciata a quella dei nostri emigranti che partivano in cerca della Merica, al Rio de Plata, alla fine del XIX secolo.

“Ancora non c’era un libro sul tango o i pochi che c’erano trattavano solo i singoli localismi, i pettegolezzi sui divi del momento. Io invece ho pensato di scrivere di tango con una certa universalità, per i non addetti ai lavori. Per me e per i latinoamericani in genere, il ballo è l’aspetto più vistoso, ma non il principale. Importa la musica, le orchestre, gli arrangiamenti. E importano le parole. Nei miei libri figurano cento, centocinquanta testi di canzoni nella lingua originale, con la traduzione a fronte. Sono gli stessi tanghi che si ballano oggi, nelle milongas italiane tanto di moda. Li ho incamerati nella memoria sin da bambina, è un piacere enorme interiorizzarli, capirli, riconoscerli”.

Alcuni tanghi a contenuto sociale, però, sono stati censurati in Sudamerica. Fraintesi o forse temuti proprio per ciò che volevano trasmettere a chi li ascoltava.

“Il tango è stato proibito dalla dittatura, sì. Gardel, morto nel 1935, fu censurato addirittura nel 1976 per alcuni suoi testi ritenuti sovversivi. Dónde están?- canta il tango, domandandosi sempre dove sono gli assenti, dove sono le voci del passato. Così quando vedo le donne disperate, a Plaza de Mayo, che piangono i figli scomparsi, che inalberano cartelli chiedendo dove sono, non posso fare a meno di pensare a questo Ubi sunt ossessivo del tango”.

Ora Meri Lao ha appena concluso una lunga tournée nelle maggiori città italiane, con lo spettacolo “100 anni di tango”, con la conduttrice Maria Teresa Ruta, Pier Aldo Vignazia, Willy Pasini, medici e psicologi, per far conoscere alla gente le capacità terapeutiche del tango.

Instancabile nella sua frenetica attività, Meri non si ferma un attimo. Ora sta ultimando il suo Dizionario maniacale del sette che andrà presto in stampa. Un nuovo libro, una nuova avventura per questa “sirena latina”. Così si chiama il suo sito, visita imperdibile per i navigatori di Internet affascinati dal mondo della musica sudamericana. Potete scriverle un’email e riceverete sicuramente una risposta. “Non capisco proprio le persone cariche di segretarie che non ti rispondono mai! O sono accidiosi senza rimedio o sono cafoni!”, mi ha detto con quel suo accento meravigliosamente “ispanico”, segno inconfondibile di un passato sudamericano che è oggi parte integrante del suo presente romano.